sabato 29 gennaio 2011

"Il beffatore di Siviglia" di Tirso de Molina

"Il beffatore di Siviglia" è un opera teatrale scritta da Tirso de Molina. E' stata rappresentata durante il famoso "Siglo de oro" spagnolo, il 1600, periodo di fiorente attività letteraria e teatrale.

Il protagonista dell'opera è Don Giovanni, seduttore e conquistatore di donne. Il testo inizia in medias res, nel bel mezzo di un inganno del beffatore ai danni della dama Isabella, che credendolo il suo amante, Ottavio, concede il suo onore, per poi pentirsene e chiamare aiuto una volta scoperto l'inganno.
Don Giovanni può vantare innumerevoli conquiste e inserisce nel suo "inventario personale" la pescatrice Tisbea, che viene illusa da una promessa di matrimonio e la contadina Aminta, che viene strappata al suo sposo. Infine cercherà anche di ingannare donna Anna, che si accorgerà dello scambio di persona (Don Giovanni cerca di spacciarsi per il suo amico, il Marchese della Mota). In soccorso della figlia arriva Don Gonzalo, che però durante il duello con il giovane seduttore, resta ferito a morte.
Nessuno degli altri personaggi riuscirà ad imporre la propria autorità e a punire severamente Don Giovanni.
Don Giovanni e il suo servo Catalinòn (praticamente in italiano sarebbe "Cagasotto" visto che Catalinòn significa grande "cacca") si ritrovano nella cappella dove è stato sepolto Don Gonzalo, il ragazzo offende il defunto tirando la barba della sua statua, invitandolo a cena. Don Gonzalo si presenterà effettivamente a casa di Don Giovanni e ricambia il suo invito offrendogli un banchetto.
Al termina della macabra cena, a base di scorpioni e unghie, Don Gonzalo, unico personaggio degno di autorità, compirà la sua vendetta umana e divina, trascinandolo con sè negli inferi. Catalinon, giunge alla corte raccontando l'incredibile fine di Don Giovanni. Le donne sedotte, morto il loro seduttore, possono reputarsi vedove e sposare i loro innamorati.
Il peccato più grande di Don Giovanni, non è tanto il voler possedere le belle donne (peccato secondario e comune, chi non sogna di sedurre una dolce fanciulla e godersela per una notte intera?), ma il voler approfittare della misericordia divina. Quando infatti, il suo servo o suo padre, lo invitano a pentirsi quanto prima, il giovane risponde: "Tan largo me lo fiàis!" ("C'è ancora tempo"), convinto di potersi confessare in extremis. Don Gonzalo, al contrario non glielo permetterà, punendolo per le tante malefatte.
L'opera è scritta con linguaggio ostico e aspro. Gli stessi attori non credevano possibile un simile successo e si diffuse la leggenda di un patto con il demonio.
In realtà, l'opera deve la sua fama e la sua popolarità alla grande capacità di Tirso nello strutturare la commedia. La cena macabra e soprattutto l'entrata in scena del defunto Don Gonzalo, rappresentava una grande attrattiva per il pubblico (un momento particolarmente ironico si ha quando la statua di marmo entra a passo ritmico e pesante nella dimora di Don Giovanni, che terrorizzato a sua volta indietreggerà allo stesso ritmo del suo ospite).

Ovviamente queste sono solo alcune linea guida riguardanti i numerosi e interessanti temi trattati in questa ricchissima opera che ha contribuito a rendere immortale la celeberrima figura di Don Giovanni, il beffatore di Siviglia. 

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